mercoledì 18 marzo 2020

CENNINO: IL COLORE GIALLO

Giallo, il colore del sole, della luce e della gioia. Vediamo come ce lo descrive Cennino Cennini nel suo trattato "Il libro dell'arte" e come questo pigmento veniva prodotto in epoca medioevale.

Da quali materiali si otteneva il giallo che i grandi artisti ci hanno tramandato attraverso le loro splendide opere? Quali gialli consiglia il Cennini e quali invece era meglio non utilizzare?




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Tubi di colore a olio giallo





IL LIBRO DELL'ARTE


Il libro dell'arte scritto da Cennino Cennini intorno al 1398, è una raccolta nella quale gli argomenti si presentano a volte in modo ben delineato ed esauriente, e altre volte mescolati tra loro e decisamente incompleti. 

Nonostante questo, il manoscritto di Cennino resta un'opera straordinaria, di grande importanza, attraverso la quale è stato possibile ricostruire molti aspetti della pittura italiana del Trecento e del Quattrocento. 

Ad affascinare è soprattutto il linguaggio utilizzato dall'autore, con cui ci sono stati tramandati per la prima volta diversi termini tecnici in uso ancora oggi (quali ad esempio: il chiaroscuro).

Esiste infine una enorme differenza tra questo trattato e altri ricettari o manuali suoi contemporanei; ne Il libro dell'arte, viene posto l'accento su aspetti operativi; secondo Cennino, l'artista può procurarsi facilmente ciò di cui ha bisogno presso le botteghe degli speziali, mentre invece necessita di "linee guida" per come svolgere la propria professione di pittore.

La funzione del trattato è quindi quella di dispensare consigli su come non farsi "fregare" da eventuali frodi e sofisticazioni nell'acquisto del colore, oppure su come trattare ed utilizzare correttamente i materiali occorrenti nell'arte. 

Al pittore non occorre la ricetta per preparare i pigmenti da sé, (anche se Cennino comunque dà utili spiegazioni anche in questo senso) ma necessita soprattutto di indicazioni per come, semmai, utilizzarlo efficacemente in pittura. 

Professionismo contro dilettantismo, questo esprime il passo che segue, tratto dal Libro dell'arte:


"Molti sono che dichono che senza esser stati con maestri ànno imparato l'arte. No 'l credere, che io ti do l'essempro: di questo libro, studiandolo di dì e di notte e ttu non ne veggia qualche praticha con qualche maestro, non ne verrai mai da niente; né cche mai possi chon buon volto stare tra i maestri."


La prima parte del libro è dedicata al disegno e alla preparazione dei materiali necessari come i carboncini, la penna per scrivere, le carte tinte e lucide.

La seconda parte del trattato comprende invece la sezione dedicata alla descrizione dei colori, la terza parte è dedicata all'affresco e alla pittura su tavola, e risulta molto articolata, sia per quanto riguarda la preparazione dei materiali quali i gessi, le colle o i mordenti, sia relativamente alle tecniche di preparazione della tavola e alla verniciatura.

Il resto del libro comprende diversi argomenti quali ad esempio l'uso dell'olio di lino come legante o mordente, la miniatura, il mosaico, la pittura su vetro, su tessuti o altri materiali, i calchi di oggetti o di parti del corpo umano (sino a comprendere il calco del corpo umano per intero!) e persino come "colorire i visi".

E ora vediamo l'argomento specifico di questo articolo, cioè il colore giallo.




ARZICA (LACCA GIALLA)



Nella scala delle preferenze di Cennino, la lacca gialla arzica, non occupa un posto privilegiato. Pur essendo una tinta molto bella, ha poca durata, e come abbiamo visto, affrontando il tema della conservazione nel tempo del colore rosso (leggi l'articolo dedicato al rosso) e del blu, Cennino presta particolare attenzione a questo aspetto del pigmento.


Nel trattato, Cennino descrive l'arzica come un colore adatto alle miniature. mentre per la pittura su tavola, le viene assegnata una funzione di rinforzo nelle mescolanze e per l'ottenimento di altre tinte, quali ad esempio il verde, ottenuto da azzurrite (vedi l'articolo sul colore blu) più il giallo di piombo e stagno.


Il nome di questo colore giallo sembrerebbe derivare da arsenikon che era il nome assegnato dai greci all'orpimento (vedi più sotto la sua descrizione).



L'arzica è uno dei coloranti più usati nel Medioevo per la tintura dei tessuti, al punto tale che, nel 1243 in una parte dello Statuto Veneziano, era fatto divieto di tingere di giallo le stoffe, utilizzando coloranti diversi da questo.



Il giallo arzica veniva ricavato da una piccola pianta annuale, spontanea, diffusa in Europa e conosciuta  con i  nomi di erba gualda, herba lucia o lutea.



Due flavonoidi sono i principali responsabili del bel colore giallo: la luteolina e l'apigenina (presente nel fiore della pianta). 



Per uso pittorico si ricavava dal colorante una lacca gialla. Molti manuali medioevali riportano ricette per poterla produrre; ad esempio nel "Manoscritto Bolognese" troviamo:



"A fare l'arzica bona et bella. - Piglia libra una de herba gualda la quale opera li tentore et tagliala ben minuta poi la pone in uno vaso vitriato e vero stagnato et metice tanta aqua che copra la dicta herba et falla tanto bulire che torni per mita et se mancasse laqua  arigiognicine quanto bolla et non piu poi tolli  once doi de travertino molto bene macinato o vero doi once di biacca et meza oncia de alumj de roccho bene subtili poi msubitete tutte queste cose a bulire in lo dicto vaso subitamente nante che laqua se fredda e mete queste cose a poco a pocho tuttavia remenando laqua et leva dal foco et quando sera a presso che fredda et tu ne cava via laqua poi tolli uno matone novo cavato in mezo et metice dentro lo colore de larzica et lassala reposare multo bene poi la pone in su una asicella bene polita a seccare e de fatta."




GIALLORINO (giallo stannato di piombo)



Fu nel 1940 a Monaco di Baviera che venne "riscoperto" l'uso di uno dei più enigmatici pigmenti descritti da Cennino nel libro dell' arte: il giallorino.

In quell'occasione R. Jocobi, studioso impegnato in ricerche sugli spettri di colore prelevati in campione da alcuni dipinti, notò che nei gialli da lui analizzati erano sempre presenti le linee relative allo stagno. Successivamente ottenne in laboratorio, con un processo di sintesi, lo stesso tipo di giallo osservato nei dipinti.

Il problema di identificazione del giallorino era aperto già da tempo.  

Nell' Ottocento si riteneva che il giallorino descritto dal Cennini, fosse la corrispondenza in lingua italiana,  del massicot o masticot, pigmento chiamato così nelle regioni più settentrionali dell'Europa.

Questa tesi era inoltre avvalorata dalla traduzione dei testi del Lomazzo, e soprattutto dalla lettura di vari manoscritti  italiani dove veniva sempre citato il nome di giallorino, a differenza di quelli stranieri che riportavano il termine massicot.

Il problema comunque rimaneva insoluto, dato che il massicot era riconducibile al letargirio (ossido di piombo) mentre le ricette italiane per produrre il giallorino prevedevano l'uso di piombo ma anche di stagno, rena e minio.


Da analisi condotte a partire dal 1947 su numerosi dipinti, si è potuta osservare la presenza dello stagno, nei gialli identificati ed analizzati.


I gialli formati da stagno e piombo sono noti in due forme:

  • Giallo di tipo I che è lo stannato di piombo
  • Giallo di tipo II che contiene anche silicio nella molecola.

La produzione di questo secondo tipo di giallo era probabilmente collegata all'industria vetraria, difatti nel già citato Manoscritto Bolognese, le ricette relative a questo giallo sono inserite proprio nella sezione dedicata alla lavorazione del vetro.

Cennino parla nel suo trattato del colore giallo denominato giallorino, ma probabilmente senza troppa cognizione di causa, dato che come sappiamo, egli preferiva e suggeriva ai colleghi pittori, di acquistare i colori già pronti dagli speziali, non ritenendo l'attività alchemica di produzione del pigmento, come strettamente di competenza dell'artista (che doveva limitarsi ad utilizzarlo in maniera competente nell'esecuzione delle proprie opere).

Cennino di fatto è un sostenitore del lavoro "di squadra", dell'unione cioè di sapienze e di cervelli! Quelli dell'artista da un lato e quello degli speziali o altri professionisti dall'altro.



Data la differente composizione chimica dei due tipi di giallo, è molto probabile che avessero anche prezzi differenti, come si è scoperto dall'analisi di una lista di colori appartenuta a Lorenzo Lotto, e sulla quale compaiono addirittura tre diverse qualità di giallorino (chiamate zalorino semplice, zalorino da vasari e zalorino di Fiandra) e da cui si evince che le ultime due varietà costavano sino a otto volte di più di quello definito "semplice".

Gli stannati di piombo hanno un elevato potere coprente e possono avere sfumature diverse a seconda che contengano o meno delle impurità quali il rame o il manganese.

Il giallorino infine, è un pigmento molto stabile, sul quale non si sono registrate degradazioni dovute alla luce, pertanto Cennino lo inserisce nella lista dei pigmenti utilizzabili in affresco.




GIALLO ORPIMENTO 



Il giallo orpimento era conosciuto come farmaco e veleno, oltre che come pigmento. 

Cennino difatti, avverte dell'elevata tossicità di questo materiale, subito dopo aver specificato che si tratta di un giallo "artificiato e fatto d'archimia".


Il giallo orpimento è quindi un composto alchemico, conosciuto sin da tempi remoti, tant'è che gli antichi egizi lo utilizzavano come componente di alcuni cosmetici, inoltre è citato dagli Assiri in testi di medicina, così come da Vitruvio e da Plinio.


Il nome orpimento deriva dal termine latino auripigmentum e in natura è un bellissimo  minerale di colore giallo in cui possono essere presenti cristalli di colore aranciato. Si trova spesso associato ad altri minerali arsenicali,  oppure a pirite, gesso, barite ed altri.

Il pigmento che si ricava dal minerale è di un bel giallo caldo, descritto da Cennino come un giallo oro, con queste parole:

"è di color più vago giallo resimigliante all'oro che color che sia"


Oltre alla produzione dell'orpimento attraverso la macinazione del minerale, si poteva ricorrere alla produzione di sintesi, e i procedimenti di preparazione erano due:

  1. "a secco" per sublimazione (cioè con il passaggio diretto dallo stato solido a quello gassoso, senza passare attraverso lo stato liquido) di zolfo e minerali arsenicali; oppure senza sublimazione;
  2. "a umido" nei quali, ad esempio, si utilizza l' idrogeno solforato in una soluzione costituita da triossido di arsenico in acido cloridrico.

Probabilmente Cennino utilizzava il giallo proveniente dal minerale naturale, che nel Medioevo era importato dall'Asia Minore (l'orpimento utilizzato in Italia però, poteva provenire anche dalle fumarole del Vesuvio e dei Campi Flegrei) e che si trovava in commercio abbastanza facilmente.

Il consiglio di macinare l'orpimento con frantumi di vetro dimostra la competenza di Cennino nel maneggiare questi materiali, dato che questa accortezza permetteva di facilitare la macinazione del colore, favorita dall'azione del vetro che va a diminuire la resistenza del minerale sotto l'azione del pesto in mortaio.

Il giallo orpimento era utilizzato spesso in mescolanze con altri colori, ad esempio con il blu indaco o l'oltremare (come consiglia lo stesso Cennino), per ottenere tinte verdi.

E' nota, infine, l'incompatibilità di questo giallo con pigmenti a base di piombo, quali la biacca o il minio, e Cennino ne sconsiglia l'uso nella pittura in affresco:


"non é buono, né in frescho, né con tempere, però che viene negro come vede l'aria.. La sua tempera non vuol d'altro che di colla"

In realtà oggi sappiamo che il giallo orpimento non  è così instabile, a condizione di mantenerlo asciutto e lontano da fonti di umidità.




GIALLO RISALGALLO



Il risalgallo di Cennino (ovvero il realgar) è il bisolfuro di arsenico. Si trova in natura come minerale, spesso associato all'orpimento e ad altri minerali arsenici.


Cennino non si dilunga nella descrizione di questo giallo, egli prova un completo disinteresse per questo pigmento al punto che la descrizione che ne dà è cortissima.

Lo definisce semplicemente come "un colore giallo", anche se in realtà il minerale è costituito da splendidi cristalli rosso-arancio cupo, e una volta macinati danno un polvere di un bel arancio intenso.

Cennino insiste però sulla tossicità di questo colore concludendo che può essere utilizzato solo "alchuna volta in tavola" aggiungendo inoltre qualche informazione circa la sua preparazione, mediante macinazione in acqua.

La laconicità di Cennino nel parlare di questo colore è molto probabilmente dovuta ad un disinteresse generale, per il pigmento, nella cerchia dei pittori.

Esami condotti su molte pitture dell'epoca, hanno infatti dimostrato uno scarso utilizzo di questa tinta. 

Certo è che il colore era tossico e per di più, non era più economico rispetto ad altri pigmenti simili, quali ad esempio il giallo orpimento, rispetto al quale aveva anche una minore stabilità alla luce.



GIALLO ZAFFERANO



La tinta gialla derivante dallo zafferano è considerata da Cennino un pigmento minore e nel trattato lo troviamo consigliato solo per dipingere su panno o su carta. E' invece sconsigliato per la pittura in affresco o su tavola, per la poca durata nel tempo e resistenza alla luce.



Il giallo dello zafferano era conosciuto in Mesopotamia e nella Roma antica, dove veniva utilizzato per la tintura dei tessuti, in pittura, ma anche nella produzione di profumi o come spezia.

Plinio lo chiamava crocus, termine utilizzato anche nel Medioevo insieme al nome di zafferano che ha origine dall'arabo za-faran che significa appunto giallo.


Nel Medioevo e nel Rinascimento la fortuna dello zafferano fu grandissima. Esistevano estese colture dedicate alla produzione del fiore, dal cui pistillo si ricava il colorante. La sua preziosità era tale che veniva offerto in dono a personaggi di alto rango.


L'uso che se ne faceva era però più legato alla cucina che non come pigmento in pittura, così come del resto facciamo anche oggi.

Le sostanze che producono il caratteristico colore giallo è la crocina, insieme ad altre piccole quantità di carotenoidi.

La preparazione del giallo zafferano come pigmento consisteva, come ci spiega Cennino nel lasciare gli stimmi in un alcalinizzante quali la lisciva (che è una soluzione alcalina a base di carbonato di potassio, ricavata dalla bollitura di ceneri di legna in acqua.)

Altri metodi consigliati in vari manuali medioevali, prevedevano di lasciare lo zafferano in infusione nell'albume, da utilizzare per la scrittura; in pittura era invece prevalentemente impiegato per le velature in virtù della sua trasparenza.

Infine, è noto che nel Medioevo la trasparenza e il giallo intenso dello zafferano trovava applicazione sopra lo stagno ad imitazione dell'oro.



Fonte BibliograficaCennino Cennino - Il libro dell'arte, a cura di Fabio Frezzato - Neri Pozza I colibrì. 




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